Un italiano ha vinto l’Amérique e un francese il nostro Derby commentava Antonio Somma, il proprietario di Face Time Bourbon, appena concluso il Nastro Azzurro, andato, con un cavallo italiano, a Jean Pierre Barjon, ovvero nientemeno che il Presidente di LeTrot, quindi l’uomo al vertice della Société che gestisce il trotto francese. Applausi e basta per Bleff Dipa, allevato da un modenese e di proprietà di un francese. Le facce arrabbiate degli sconfitti non erano certo rivolte a Bleff o Barjon, anche se il ricco bottino del Derby finisce nelle casse di un francese. Così come a Parigi ci sono stati solo applausi per Face Time, allevato da un tedesco e di proprietà di un italiano. Così come nel galoppo la notizia del giorno, per tutto il mondo, è quella del ritiro in razza di Enable, allevata e allenata in Gran Bretagna, ma di proprietà di un saudita. Perché il nostro è uno sport senza frontiere, nel quale, com’è giusto che sia, si tifa per i beniamini locali, ma rispettando sempre la legge del palo, a prescindere dalla provenienza, dalla nazionalità o da qualsiasi bandiera. L’ippica è oltre il politically correct perché in questo mondo non c’è mai stato bisogno neppure di pensare a metterlo in atto. La globalizzazione è arrivata decenni prima che nel resto del mondo. La libera circolazione di merci e lavoro è, soprattutto al galoppo, una normalità. Pensate proprio alla squadra del vincitore del Derby, perché oltre al modenese e al francese ci sono un allenatore tedesco (Holger Ehlert) e un guidatore di Aversa (Roberto Vecchione, se volete aggiungere le diatribe nord-sud) che operano in Toscana.
L’articolo completo lo potete trovare nell’edizione di Trotto&Turf di martedì 13 ottobre.
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