Anci: ippica importante attività produttiva

Andrea Farolfi and Audrey Effe win the Oaks del Trotto Napoli – Agnano, 22 settembre 2019 Ph.Stefano Grasso/Ippodromi Partenopei
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La crisi dell’ippica ha radici lontane e si trascina da almeno dieci/quindici anni e coincide con la crisi della sua principale fonte di introiti e finanziamento: le scommesse, crollate inesorabilmente, di fronte all’ondata delle scommesse sportive e dei giochi di tutti i tipi e della mancata riforma del settore ippico. Grazie ai nuovi giochi (scommesse sportive, videogiochi, slot, ecc.), lo Stato non ha sofferto troppo la forte diminuzione del gettito erariale di provenienza ippica, ma ha dovuto farsi carico di un contributo annuale, pari oggi a 100 milioni di euro, senza il quale, il settore ippico sarebbe defunto. Tale contributo, in vigore dal 2011, che per i primi 3 anni era di 150 milioni, fu appositamente deliberato dal Mipaaf, ed è ora legato in modo proporzionale al movimento delle scommesse: diminuendo queste, diminuisce anch’esso, rendendo sempre più precario e difficile il mantenimento delle corse. Prova ne è che negli ultimi anni sono scomparsi già 4 ippodromi di galoppo e uno di trotto e altri, sono a rischio. Si aggiunge il fortissimo ritardo dei pagamenti a liquidazione dei premi vinti. Decine di scuderie hanno chiuso, altrettanti allevatori hanno cambiato attività. Molti allenatori, guidatori e fantini sono emigrati all’estero, trovando ottimi riscontri e mietendo successi, a testimonianza del grado di professionalità raggiunto e purtroppo perso dall’ippica italiana. La situazione economica determinatasi è grave ed anomala, se solo confrontata ai volumi e agli interessi, in crescita, che sono mossi dall’ippica negli altri Paesi. Purtroppo non ha giovato il passaggio diretto di tutto il sistema (tecnico, sportivo e giuridicoamministrativo) ai ministeri MEF e Mipaaf, prima del ’99 solo controllori e ratificatori di quanto deliberato dagli organismi sottostanti, UNIRE ed Enti Tecnici sottoposti: Jockey Club per le corse di galoppo e l’allevamento dei cavalli purosangue; Società degli Steeple Chases d’Italia per le corse ad ostacoli e amatoriali; Encat per le corse di trotto e l’allevamento dei cavalli trottatori; Enci, per la tutela dei cavalli da sella, non purosangue allevati in Italia, cui era riservato anche un mini-ciclo agonistico in pista. Cinque Enti erano certo pletorici, pur tuttavia con la loro presenza dimostravano la complessa e vasta articolazione del settore ippico. Nel sistema riconosciamo, innanzitutto, la figura dell’Allevatore, eminentemente agricola e quella del Proprietario di cavalli, che li acquista a un prezzo ben più alto di quello base di animale da carne, perché conta di vincere, grazie alle corse, dei premi in denaro, che rendano sopportabili i costi da affrontare. Nei casi più fortunati, l’incremento di valore del cavallo che vince e rivince, porta alla sua vendita all’estero, anche per centinaia di migliaia di euro. Il buon cavallo, specie se femmina, può anche essere messo in razza, contribuendo al miglioramento del patrimonio equino nazionale in termini qualitativi. Sono le corse, quindi, quelle che permettono l’incremento di valore del bene equino. Per svolgersi hanno bisogno di un teatro, l’Ippodromo, oasi verde, spesso di incomparabile bellezza, che le organizza. La corsa, poi, muove l’interesse del pubblico, sia come fenomeno agonistico spettacolare in sé, sia perché invita alle scommesse. Dal ricavato delle scommesse, lo Stato ottiene un beneficio erariale, sostiene le spese di organizzazione delle corse (controllo e disciplina delle corse, ruoli tecnici, giustizia sportiva, antidoping, amministrazione) e gira all’ippica una proporzionale quota per il montepremi. Più questo è alto, più il Proprietario è invogliato a comprare e a pagare meglio la merce prodotta dall’Allevatore, che, a sua volta, potrà investire in migliore qualità. Così, il ciclo si chiude e, a ogni tornata, se le scommesse tengono, il settore, nel suo complesso si ritrova con del valore aggiunto. E’ evidente però che in alcuni passaggi di questo ciclo complesso appena descritto, negli ultimi anni si siano riscontrati dei problemi, con un risultato negativo per tutti, incluso lo Stato. La dimostrazione più evidente della crisi che si vive attualmente è sicuramente la gratuità degli ingressi negli ippodromi italiani, anche quelli importanti, mentre in altri Paesi, come la Gran Bretagna, si arriva a pagare fino a 30 sterline. Ferma restando la necessità di una riforma globale del settore dell’ippica, in particolare della governance, la proposta di legge in oggetto va nella direzione auspicata dal gruppo di lavoro ANCI, seppur solo in parte. C’è sicuramente bisogno di un contesto normativo più adeguato che consenta lo sviluppo ed il rafforzamento della filiera degli equidi con particolare riferimento all’allevamento dei cavalli. Il concetto stesso di allevamento viene così ampliato, arrivando a comprendere a pieno titolo l’allevamento degli equidi da vita. Sino ad oggi la filiera degli equidi si è sviluppata senza un adeguato inquadramento nel settore agricolo, privata di efficienti strumenti di promozione e sostegno utili al rilancio dell’allevamento in Italia. Si pensi ad esempio all’impossibilità per gli allevatori di cavalli di accedere alle risorse dei PSR. Con l’equiparazione dell’ippicoltura all’attività agricola a tutti gli effetti viene sanata tale discrepanza. Si rimane però volutamente in un ambito generico di definizioni per quanto riguarda la valorizzazione delle strutture sportive dell’ippica nel tessuto urbano. Ci si concentra sulla nascita e l’allevamento dei cavalli, molto meno sugli aspetti della competizione dei quadrupedi. Una proposta prevalentemente “agricola” quindi (ippoterapia, maneggio, agriturismo) che non contempla affatto gli aspetti urbanistici legati alla presenza nelle Città di strutture sportive dell’ippica. Non si parla invece di ippodromi, anche se quando si accenna alla promozione sarebbe bene citarli esplicitamente. I Comuni, in quanto proprietari della maggior parte degli ippodromi, necessitano invece prioritariamente di fondi per la ristrutturazione, il miglioramento e l’innovazione degli impianti stessi. Negli anni le società di gestione hanno subito pesanti tagli (meno 70% negli ultimi 8 anni) agli stanziamenti per il loro finanziamento stabilito per legge (DPR 169/98). Il Ministero ha ridotto drasticamente il finanziamento pretendendo sempre gli stessi servizi per il pubblico e per gli operatori, per questo motivo i gestori hanno dovuto tagliare i costi di gestione arrivando anche al licenziamento del personale, e riducendo al minimo le attività di manutenzione sia ordinaria che straordinaria degli impianti. Si accenna ad un’ Agenzia da costituirsi per promuovere l’equino ma non si va oltre ed al riguardo si rileva che esiste una doppia anagrafe degli equidi: la BDE e la BDN, banca dati nazionale. Nella BDE va specificato che rientrano anche i cavalli di trotto e non solo i cavalli della FISE. Inoltre sarebbe opportuno che le due anagrafi andassero di pari passo, cosa che non avviene attualmente e che si abbreviassero i tempi previsti per l’esercizio della delega.

Questo il documento presentato da Anci nel pomeriggio di martedì 13 ottobre alla XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei Deputati.