Annullamento del Piazzale, l’analisi della giornata. Il concerto..stonato. Il racconto dell’accaduto

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Un pomeriggio di ordinaria follia. Così potremmo definire il convegno di sabato a San Siro, culminato con l’annullamento del Premio del Piazzale a causa della pericolosità del tracciato in pista grande. A scatenare lo psicodramma è stata la caduta di Bull Dozer, che nel Criterium delle Amazzoni, ossia la corsa precedente il gruppo 3, è scivolato poco dopo l’imbocco della piegata, scodellando Flaminia Garbetta, per fortuna senza conseguenze. I fantini hanno subito manifestato (non tutti) l’intenzione di non correre in pista grande. Da qui in poi, è successo di tutto.

Dapprima, l’altoparlante ha annunciato lo spostamento della pattern in pista media, e questo è stato il primo errore della terna commissariale: per regolamento, il tracciato ufficiale delle listed e dei gruppi (corse che, lo ricordiamo agli smemorati, rientrano in un circuito europeo e devono sottostare a norme precise) non può essere cambiato. Che fare? Dopo un’interminabile riunione in sala commissari, presenti esponenti dei fantini e dei proprietari e il rappresentante italiano presso il Comitato Pattern, i jockey hanno acconsentito a scendere in pista (usando la massima cautela), o almeno così sembrava. Incidentalmente, la disputa del Piazzale con un approccio “a due all’ora” fino in dirittura, avrebbe delineato uno scenario tecnico imbarazzante. Gli steward (che nel frattempo avevano effettuato un sopralluogo) però non si sono assunti la responsabilità di avallare la (buona) volontà dei fantini in una situazione di potenziale pericolo. Mentre tutto questo accadeva, qualcuno (non sapremo mai chi) ha dato disposizione di far venire i dieci partenti al tondino. Una grossolana idiozia: icavalli, che già da oltre mezz’ora stavano passeggiando sellati alle scuderie, hanno continuato a girare come trottole, per molti minuti, e alcuni hanno cominciato a sudare e a dare segni di insofferenza, prima di essere riportati all’insellaggio. Intanto, il presidente dei fantini, Luca Maniezzi, contattava il Ministero, nella persona della dottoressa Nicolazzi, che poteva solo ribadire il dettato della normativa e ripassava il pallino ai commissari.

Dopo oltre un’ora e mezza di discussioni e conciliaboli, e un’ora abbondante dopo l’orario ufficiale del Piazzale (17.05) è stata scritta la parola fine: corsa annullata (difficilmente verrà recuperata). A quel punto sarebbe dovuta saltare anche la Tris straordinaria, il Cancelli, che tuttavia per carità di patria (lo spostamento a domenica mattina avrebbe comportato complicazioni) è stata disputata, con grande ritardo, ovviamente, ma ancora con luce sufficiente.

La tormentata vicenda impone riflessioni ormai ineludibili. La prima è questa: non si è trattato di fatalità, nel modo più assoluto. Non vorremmo che qualche bello spirito chiamasse in causa Giove Pluvio, reo di avere fatto scendere un po’ di pioggia (neanche poi tanta) su Milano. Il problema è ormai strutturale. In base a quanto ci è stato riferito da addetti ai lavori che hanno visto da vicino i tracciati, la porzione interessata (la curva di pista grande, essenzialmente) soffrirebbe, a differenza della pista media e delle diritture, di una insufficiente copertura erbosa, causata dalla posa delle protezioni necessarie per ospitare i concerti succedutisi negli ultimi mesi. La scarsità di erba favorirebbe, in caso di precipitazioni, il formarsi di una patina scivolosa, come si è visto sabato. Su queste colonne è stato scritto chiaramente dopo l’episodio di quest’estate a Merano (e potremmo aggiungere Montecatini al triste elenco): gli ippodromi non sono giardini ma organismi complessi che hanno bisogno di cure particolari e assidue, non di strapazzi. La lezione non ha insegnato nulla, e d’altra parte, in chi vuole imparare, l’umiltà dovrebbe offuscare la presunzione. La direzione di San Siro non si è evidentemente resa bene conto del colossale rischio corso per la scellerata decisione di utilizzare la pista circolare il 7 settembre. Quattro fantini hanno rischiato la pelle, e solo grazie alla buona sorte se la sono cavata con poco. La fortuna, però, non dura in eterno. Non siamo retrogradi e comprendiamo la necessità, per le società di corse, di far quadrare i bilanci con l’ausilio di introiti non derivanti dall’attività ippica. Bisogna però mettere un segno, oltre il quale non si deve andare. Non c’è bisogno di avere studiato greco per sapere qual è l’etimologia del termine ippodromo. I concerti vanno pure bene, ci mancherebbe, ma non si può stravolgere il senso della funzione degli impianti, né vanno invertite le priorità. In un ippodromo, prima si corre, poi eventualmente si organizzano altre manifestazioni. A San Siro, purtroppo, non è più così, e i risultati si vedono. In questo quadro si iscriverebbe anche la riorganizzazione delle aree di cui sussurrano voci di corridoio. Il centro di allenamento di Trenno verrebbe smantellato, con spostamento dei cavalli rimasti (non molti, è vero: l’opera di… “terrorismo” in atto ormai da anni ha sfoltito i ranghi…) nei box ubicati in via Ippodromo subito a ridosso della pista da corsa. Già, ma dove si allenerebbero? Elementare, Watson! Basta costruire una pista all weather (o in sabbia: costa meno…) al posto della circolare, e magari una dirittura pure in sabbia parallela a quella di Lampugnano. Fantastico! Ma perché nessuno ci aveva mai pensato prima?

Battute a parte, c’è da domandarsi quale sarà il destino della riunione autunnale. La circolare è fuori gioco e, se non si potrà disporre nemmeno della pista grande, la media, a questo punto l’unica disponibile, verrebbe sovraccaricata, con ulteriori inconvenienti. E poi, naturalmente, ci sono le pattern e le listed previste in pista grande. Cosa facciamo, le spostiamo a Roma ancora una volta? Oppure chiediamo al Comitato Pattern (prima della chiusura delle iscrizioni forse si potrebbe ottenere) di riprogrammarle in pista media? Pensate che meraviglia: Gran Premio del Jockey Club, metri 2400 in pista media…

Il nostro movimento esce malissimo da questo brutto sabato, e l’ennesima figura di cioccolato (chiamiamola così) rimediata in campo internazionale sarà ben difficile da smacchiare, e ci auguriamo solo che le spese di viaggio siano interamente e prontamente rimborsate agli ospiti dalla società milanese. Qualcuno dirà (anzi: ha già detto): ma tanto gli stranieri ci conoscono, sanno che siamo completamente inaffidabili, ci devono sopportare perché ogni anno ci portano via un sacco di soldi e contemporaneamente qualificano i loro cavalli. C’è del vero in questa asserzione, ma non si tratta solo degli operatori esteri, anche gli italiani sono coinvolti, e francamente non sono nemmeno esenti da colpe: l’acquiescenza delle categorie di fronte ai desiderata – manifesti o meno – della società, negli ultimi anni, ci ha portato in un vicolo cieco.

Si chiedeva sabato sera, sconsolata, Isabella Bezzera: “Con che coraggio possiamo chiedere ai proprietari di investire ancora?”. Già, con quale coraggio? Nel pieno del marasma, abbiamo personalmente udito uno dei nostri fantini di punta dire che Milano “è la pista più brutta d’Italia”. Probabilmente ha ragione. San Siro, un tempo, era la pista più bella e selettiva del mondo. A che punto siamo arrivati? E dove andremo a finire? Federico Tesio si gira nella cassa.

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