Storie da San Rossore: Gigi Gianoli, il cantore dell’ippica

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A cura di Renzo Castelli

Nel pomeriggio festivo all’ippodromo di San Rossore, che vede in programma due tradizionali HP, la corsa riservata ai dilettanti è dedicata a Luigi Gianoli, che fu giornalista, scrittore, critico musicale ma soprattutto un autentico gentleman. L’ultimo suo servizio da San Rossore per “La Gazzetta dello Sport” fu nel 1983. Benché avesse già 65 anni, al mattino aveva voluto fare una galoppata sui Cotoni con un cavallo dell’allenatore Ettore Pistoletti. Gianoli fu un gigante del giornalismo che ha incantato con le sue cronache da Ascot, da Parigi, perfino dal Kentucky dove, nel 1969, volle andare a verificare quali fossero le condizioni di Ribot (che morirà tre anni dopo), confinato da oltre dieci anni nella Darby Dan Farm a Lexington.

Al ritorno in Italia, di quell’incontro scrisse fra l’altro: “Lo chiamai, gli dissi alcune frasi in italiano. Di colpo smise di leccare il braccio del suo negro e volse la testa verso di me, l’occhio dilatato, le orecchie tese, come se un sospetto o un ricordo gli attraversassero la mente. Che afferrasse qualcosa del linguaggio dei tempi delle sue vittorie?”.

Se ancora oggi resta un testo fondamentale il suo volume “Il purosangue” sulla storia del galoppo mondiale, Gianoli fu anche un giornalista molto amato dal mondo del ciclismo quando, nel dopoguerra, il Giro d’Italia era quasi tutto italiano e la folla aspettava al bordo delle strade che passasse la “carovana” anche per applaudire la Cisitalia della “rosea” con Gianoli a bordo, famoso per le sue cronache delle tappe alpine.

Il personaggio aveva avuto un passato a suo modo leggendario come ufficiale di quel “Savoia Cavalleria” che il 24 agosto del 1942 aveva fronteggiato le armi sovietiche nell’ansa del Don, a Isbuscenskij con un’ultima, eroica carica. Gianoli aveva allora 24 anni, era sottotenente nel 1° Gruppo Squadroni. Di quell’esperienza drammatica trasse spunto per un libro nel quale raccontava l’ultima carica della cavalleria italiana. Da quel volume stralciamo un piccolo brano sul rapporto fra uomo e cavallo nella desolazione del fronte russo, un esempio delle qualità di questo straordinario giornalista-narratore.

“Date le biade e l’acqua, divorato il rancio, cavalli e uomini si predisposero al riposo. Il volto si chiudeva come pietra al sonno ingannatore che veniva a cancellare dal cuore distanze, tempo, paure, sospetti, le arroventate fatiche del giorno. Tutto in breve tacque sotto le nera passione della notte, sotto lo sguardo impassibile del firmamento. Solo i cavalli, liocorni dalle grandi pupille, rifiutavano il sonno per guardarsi intorno, lasciare ogni tanto le biade, alzare la testa, le orecchie dritte, sospettose e forse presaghe, puntate all’orizzonte. Sapevano? Intuivano? Chissà”. Una lettura da brividi…